Né rottamatori né gattopardi

Il Caffè lancia oggi un appello «AAA cercasi classe dirigente» e si chiede «a quando un “Renzi” che anche in Ticino rottami la vecchia classe dirigente?».
Incipit interessante, anche se poi non ho trovato approfondimenti all’altezza delle promesse.

GattopardoSul punto di partenza sono d’accordo: per uscire dalla crisi attuale, il Ticino ha bisogno di nuove idee, di nuove modalità per risolvere i problemi (non solo gruppi di lavoro anchilosati) e, soprattutto di nuove persone pronte e capaci a lavorare insieme.

Per questo la politica (e in particolare PLRTPPD) deve definitivamente buttarsi alle spalle i secoli della «Politica a fucilate» [1] e lasciare riposare in pace i «martiri» Guglielmo Pedroni e Luigi Rossi[2] ma anche le nostalgie (e le invidie) per il «Governo di Paese» (o Pateracchio) rispettivamente per l’«Intesa di sinistra» (o del tavolo di sasso).
Semmai dovremmo avere tutti insieme la capacità di guardare alla nostra Storia per riconoscere gli sforzi fatti da tutti per il bene del Ticino e ricavarne indicazioni utili per il presente e il futuro.

Così, ad esempio, è importante capire che anche negli ultimi 20 anni la politica di è fatta «a fucilate»: fortunatamente senza morti o feriti ma con le armi più subdole del dileggio (camuffato da satira), del sospetto e della calunnia. Ed anche (almeno per me) di un sottile (e spregevole) piacere quando questi attacchi erano rivolti contro persone degli altri schieramenti.

Non credo però che il Ticino abbia bisogno di rottamatori.
Abbiamo invece bisogno di tessitori di nuovi rapporti (anche tra i partiti), di artigiani che sappiano rimettere insieme i cocci per costruire qualcosa di nuovo, di persone con visioni e con la capacità di tradurle in sfide e progetti.

Anche per questo sospetto di chi invoca «un Renzi ticinese» (perché mai dovrebbe essere un uomo?) se a chiedere a gran voce «un ricambio generazionale e un salto culturale all’interno delle classi dirigenti» sono esponenti di una classe politica che oltre ad avere lavorato per e nelle istituzioni ha «bruciato» una o due generazioni. Tra queste anche quei giovani che, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, chiedevano a gran voce una nuova «cultura politica».

Per questo, mentre credo perciò che il Ticino non abbia bisogno di rottamatori, sono altrettanto convinto che non ha nemmeno bisogno di personaggi (o padrini) che, con il pretesto di chiedere il rinnovamento della politica, cercano (o almeno insinuano il sospetto) di riproporre le modalità e le logiche del secolo scorso.
Mi torna in mente il Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è [o torni come era], bisogna che tutto cambi»[3].

In conclusione: il Ticino ha bisogno di una nuova classe dirigente.
Diffidiamo però da chi tende a riproporre gli schemi e le modalità del passato e stiamo attenti ai profeti forse solo nostalgici dei «bei tempi» di una politica che, per il nostro bene, deve essere definitivamente consegnata alla Storia del nostro Ottocento e Novecento.

 

 

[1] Raffaello Ceschi; Ottocento Ticinese, Ed. Dadò, 1986; capitolo 2, pagina 31

[2] Vittime dei «Fatti di Stabio» del 22 ottobre 1876, rispettivamente della sommossa dell’11 settembre 1890

[3] Tommasi di Lampedusa, Il Gattopardo

Guardare la luna, coltivare speranze

LunaMatteo Renzi «vorrebbe “un partito che studia”, che stimola la formazione politica». Con questa frase, Aldo Bertagni ha catturato la mia attenzione e mi ha trascinato fino alla conclusione del suo «fondo» su LaRegione Ticino: è tempo di «rilanciare la politica per tornare a guardare la luna […] con il sorriso e la speranza dei giovani».

La mente ritorna al Congresso del Movimento giovanile PPD del 1978, ai miei impegni politici dei primi anni Ottanta.
Un congresso che si è diviso sulla necessità di avere e coltivare una «cultura politica» cioè metodi e strumenti per analizzare i problemi e formulare proposte ma anche per attualizzare e proporre in modo attuale i fondamenti dell’impegno politico: il federalismo, la sussidiarietà, l’insegnamento sociale della Chiesa.
La maggioranza (con la benedizione dei «maggiorenti del partito») decise altrimenti.

Sono passati più di 30 anni. Guardo disilluso la situazione attuale.

Chi ha responsabilità «di governo» (a livello cantonale o comunale) incontra sempre maggiori le difficoltà a staccarsi dalle preoccupazione del «giorno per giorno» per riflettere e ragionare sui grandi temi: la crisi economica, le opportunità per un rilancio, la struttura e i compiti dello Stato, la ripartizione di compiti e responsabilità (anche finanziarie) tra Cantone e Comuni. E la lista non è esaustiva.
Prevalgono le soluzioni semplici, la ricerca di capri espiatori (gli stranieri, i frontalieri), l’illusione che basta chiudersi su sé stessi e costruire muri per ritrovare una situazione idilliaca.

Anche noi abbiamo invece bisogno di «tornare a guardare la luna» per poter poi «seminare e coltivare speranze contro le paure».
Per questo dobbiamo tornare a piegare la testa sui libri, con una sola certezza: «so di non sapere»