Un nuovo Esodo, verso tempi nuovi

Esodo è il libro della Bibbia che racconta il lungo cammino del popolo ebraico dall’Egitto dove viveva in schiavitù alla terra promessa «dal Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (il Dio di ebrei, cristiani e musulmani).

Nei tempi della «modernità» abbiamo dimenticato il significato originario di questa parola. Per noi «esodo» (pasquale o estivo) è ormai solo sinonimo di un lungo serpente di auto incolonnate al portale della galleria del San Gottardo o lungo le autostrade: verso il mare o di ritorno verso casa.

E così, nella Pasqua di quest’anno, il COVID19, le raccomandazioni delle autorità e le frontiere chiuse, hanno quasi cancellato la parola «esodo» dall’infomania di questi giorni.

Eppure.
Eppure il tempo che stiamo vivendo può essere un nuovo Esodo, un tempo di passaggio tra il «prima COVID19» e un «dopo» ancora molto incerto.
Tutti speriamo che giunga presto; nessuno sa come e ciascuno ha una sua visione su come sarà, su quale strada prendere quando saremo davanti al bivio.

Ad alimentare questi miei pensieri contribuiscono le riflessioni sulla Pasqua dello scrittore Erri De Luca (leggi qui) che ho scoperto grazie ad un twitt di Boker or. Condivido (senza altri commenti) i passaggi che più mi hanno colpito.

«Quest’anno in quella terra di origine della storia sacra [la terra di Israele], come da noi, si celebra la festa di Pèsah, Pasqua, in condizioni di stretta clausura domiciliare. L’epidemia di febbri polmonari ha trasformato il racconto di una liberazione in quello di un isolamento.

Ma non per questo c’è smentita né contraddizione.

Anche nel condiviso divieto di spostarsi, si sta compiendo un viaggio. Si sta dentro un avvento, si va in un tempo nuovo.

Non sarà possibile dimenticare che la vita umana ha preso il sopravvento e la precedenza su qualunque legge del profitto e dell’economia. Non sarà possibile dimenticare il tempo incalzante in cui l’autorità e il potere spettano ai medici e non ai consigli di amministrazione.

Si sta dentro le nostre capsule nell’isolamento del deserto, al termine del quale affronteremo un bivio: tornare alla sicura servitù di prima, alla sottomissione generale al Faraone dell’economia.

Oppure inoltrarsi nella terra di una nuova libertà da sperimentare, una nuova alleanza tra la specie umana e l’ambiente che le permette vita».

Il coraggio di uscire dal guscio

«Non v’è quasi traccia della nostra presenza al Campionato del mondo sui media stranieri»: lo scrive, amaramente, Tarcisio Bullo sul Corriere del Ticino di oggi.  Non ho controllato. Ricordo però il titolo della Gazzetta dello Sport online dopo la vittoria con l’Ecuador.

DzemailiE non solo. Dopo la nostra sconfitta contro l’Argentina, Massimo Gramellini ha riservato alla nazionale svizzera (o Blerim Džemaili) il suo Buongiorno di mercoledì 2 luglio.

Sulla prima pagina de La Stampa, Gramellini prende spunto dal palo colpito dal nostro nazionale nei minuti di recupero e dalla «palla, che dopo aver toccato il palo gli rimbalza sul polpaccio come in un flipper [e] invece di rotolare dentro esce di un nulla, sancendo la vittoria della sopravvalutata Argentina»

Vi lascio il piacere di leggere il Buongiorno di Massimo Gramellini.

Mi ha colpito la conclusione: «Non è il talento a fare la differenza, ma la consapevolezza nell’usarlo. Che tradotto in vita pratica significa: più uscirai dal guscio delle tue sicurezze e ti cimenterai nelle prove difficili accettando il rischio di perderle, più acquisirai quella magia dell’inesorabile che ti porterà a fare gol nel momento decisivo».

Auguri a chi accetta la sfida di uscire dal guscio protettivo e per mettere in gioco il proprio talento!

Treni, incontri, poesia

Tilo_Estate2Dieci, dodici minuti; a volte anche per ore: quasi ogni giorno viaggio in treno.

Se appena posso, mi siedo su sedili dove non ci sono altri viaggiatori. Per stare tranquillo, per lavorare meglio o, forse, solo per evitare incontri. Se non è possibile, quasi mai cerco il contatto, il dialogo con altri viaggiatori al di là di un educato saluto di circostanza «È libero? Buon giorno. Buona sera. Buon viaggio. Buon week-end».

Per la maggior parte del viaggio resto confinato nel mio piccolo mondo: lo smartphone, il tablet o i dossier da leggere per preparare la riunione. Solo raramente osservo il paesaggio e le persone.

Sul treno ci sono giovani studenti che ripassano le lezioni per mandare a memoria nozioni con metodi finalizzati solo a superare un’interrogazione o una prova scritta. C’è chi fa più fatica e chi aiuta gli amici meritandosi attenzioni e sguardi interessati e riconoscenti.
Ci sono colleghi che parlano di lavoro anche in posti lontani e per me fantastici: la spiaggia e il bar dove ritrovarsi dopo una giornata di lavoro nella sede all’estero.

Qualche incontro è regolare: lo stesso treno, le stesse fermate, gli stessi posti.
E così, immagino di scrivere un ritratto o una storia: che mestiere fa? Dove va? Con chi parla al telefono? Sorride: cosa l’aspetta questa sera?

Il  viaggio in treno potrebbe però anche essere occasione per momenti più intensi e ricchi.
Me lo ha ricordato Elena Bibolotti con «I miei treni» e l’incipit de «Il mare colore del vino» il racconto nel quale Leonardo Sciascia descrive il viaggio dell’ing. Bianchi da Roma ad Agrigento e il suo incontro con la famiglia del prof. Miccichè e la giovane Dina.

Accolgo e condivido l’invito di Elena a riscoprire «Il treno come “nonluogo” per antonomasia dove mettere assieme le tessere di un puzzle e fantasticare a più non posso sul futuro. Dove leggere e parlare, conoscere persone che mai più avremmo incontrato, nemmeno per sbaglio, sui social network».
E sarebbe bello ritrovare anche la capacità non solo di guardare il paesaggio che scorre dietro al finestrino ma anche la poesia che permetteva a Ennio Flaiano «di vedere gocce di pioggia che scivolano sul vetro appannato trasformarsi in pianto».

E chissà che queste riflessioni e pensieri non diventino l’occasione per un incontro, per un dialogo fra persone che ogni giorno si incontrano su un treno.
Un dialogo reale e non solo sui social network.

Creatività è divertimento

Il coraggio di immaginare alternative è la nostra più grande risorsa, capace di aggiungere colore e suspence a tutta la nostra vita.”
Daniel J. Boorstin

CreativitaIl coraggio di osare è anche quello di immaginare alternative a costo di passare per folli per alcune ore, mesi o anni.
Succede poi che la soluzione giudicata folle sia ripresa e realizzata da altri.

Creatività e luoghi comuni sono un ossimoro.
Eppure in molti casi, l’esito di un processo creativo è come un messaggio messo in una bottiglia lanciata nel mare. Senza rinunciare ad essere creativi, basta poi la pazienza di stare seduti in riva al fiume ad aspettare non il cadavere del nemico ma la barca (o la nave) della idea realizzata.

Questa esperienza mi ha convinto che in questa epoca di cambiamento, di incertezze, di ricerca di nuovi (o vecchi) punti di riferimento la creatività ed i processi creativi sono una risorsa, un bene da coltivare e diffondere.

Mi viene in aiuto Giovanni Lucarelli, al quale sono debitore delle citazioni di oggi, con le sue riflessioni sul braistorming: non solo come una “tempesta di cervelli” ma, soprattutto, “nell’accezione originaria di Osborn” per il quale brainstormig “significava usare il cervello (brain) per prendere d’assalto (to storm) un problema creativo”.

Vi invito a scoprire “Tutto quello che non avete mai osato chiedere sul brainstorming“: la prima e la seconda parte.
Buon creativo divertimento.