Grazie, Donatella e… buona strada

Da Varese mi raggiunge la notizia della partenza verso altri cammini di Donatella, una delle persone che più si è spesa per la riscoperta e il rilancio della Via Francisca del Lucomagno.
Il suo esempio è stato da stimolo anche per noi della Svizzera italiana che abbiamo imparato a conoscerla e ad apprezzare le sue competenze umane e professionali.

Ricordo i momenti belli dei cammini lungo la Via Francisca ma anche i nostri numerosi incontri. Sempre discreta ma attenta a non far mancare una parola di sostegno e incoraggiamento.
Sapevo della sua malattia (affrontata con coraggio, silenzio e dignità) ma, con lei e i suoi cari, speravo che avrebbe vinto questa battaglia.

Adesso immagino Donatella che cammina leggera sulle strade di un’altra realtà, liberata dal dolore ma ancor più grande in quelle che sono state le sue virtù.
Grazie, Donatella.
Buona strada sulle vie del cielo ma, per favore, non lasciarci soli nel nostro cammino.

Un saluto e un abbraccio, carichi di affetto e di riconoscenza ai tuoi figli e ai tuoi cari.

(Per un più completo ritratto di Donatella vi invito a leggere il ricordo su Varese News)

La lezione di un filo d’erba


Oggi è la “domenica di Tommaso” (Gv 20, 19-31), una persona nella quale mi riconosco.
Scrive, Enzo Bianchi.
Tommaso “ha bisogno di vedere ma non di toccare le ferite di Cristo: quando infatti il Risorto lo precede e smaschera con misericordia la sua debolezza, Tommaso, vistosi amato persino nella sua incredulità, fa cadere le sue difese e formula una straordinaria confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». E a lui Gesù riserva la sua ultima beatitudine, di cui anche noi siamo destinatari: «Beati quelli che crederanno senza avere visto». Sì, siamo chiamati a vivere la beatitudine di chi «vede» Gesù con gli occhi della comunità cristiana, riunita nel giorno del Signore e in ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture, Parola di cui il vangelo è il centro, Parola che è Gesù Cristo”. (leggi qui).
Gioisco con Tommaso. Tuttavia, mi rendo conto che per essere tra i “beati che crederanno senza avere visto” mi manca ancora molto.

Tra le riflessioni proposte da AlzogliOcchiversoilCielo per questa domenica ho scelto quella di Ernesto Balducci (1922-1992) uno dei “magister” negli anni della mia formazione alla politica e all’impegno sociale. Un testo (leggi qui) riproposto dalla Fondazione Balducci a commento della Pasqua 2020.
Quasi una profezia dei tempi che stiamo vivendo e nei quali ci ripetiamo spesso che il “dopo COVID-19” dovrà essere diverso dal “prima”.

Scriveva Ernesto Balducci: “Dovrà cambiare l’uo­mo, dovrà – come dice il profeta – il cuore dell’uomo diventare, da cuore di pietra, un cuore di carne. È una speranza che noi alimentiamo soprattutto dall’evento che celebriamo perché esso dice che le cose mutano. Il senso intimo, antropologico della Pasqua è l’afferma­zione che le cose mutano. Non è vero che c’è una ne­cessità che governa tutto, la novità è la legge. Non mi importa che mi dicano: «Guarda che gli uomini da quando sono uomini si sono sempre ammazzati». Io dico che verrà tempo in cui gli uomini non si ammaz­zeranno”.

Abbiamo celebrato la Pasqua.
Eppure un canto quaresimale resta di grande attualità: “Donaci o Signore un cuore nuovo. Poni in noi Signor uno spirito nuovo”.
Ho bisogno di un cuore che mi aiuti a sapere “mentre parlo un filo d’erba mi cresce accanto alle scar­pe e in quel filo d’erba c’è più che in tutto il mio sorri­so freddo come un laser”.
#Buonadomenica #distantimavicini

 

Un nuovo Esodo, verso tempi nuovi

Esodo è il libro della Bibbia che racconta il lungo cammino del popolo ebraico dall’Egitto dove viveva in schiavitù alla terra promessa «dal Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (il Dio di ebrei, cristiani e musulmani).

Nei tempi della «modernità» abbiamo dimenticato il significato originario di questa parola. Per noi «esodo» (pasquale o estivo) è ormai solo sinonimo di un lungo serpente di auto incolonnate al portale della galleria del San Gottardo o lungo le autostrade: verso il mare o di ritorno verso casa.

E così, nella Pasqua di quest’anno, il COVID19, le raccomandazioni delle autorità e le frontiere chiuse, hanno quasi cancellato la parola «esodo» dall’infomania di questi giorni.

Eppure.
Eppure il tempo che stiamo vivendo può essere un nuovo Esodo, un tempo di passaggio tra il «prima COVID19» e un «dopo» ancora molto incerto.
Tutti speriamo che giunga presto; nessuno sa come e ciascuno ha una sua visione su come sarà, su quale strada prendere quando saremo davanti al bivio.

Ad alimentare questi miei pensieri contribuiscono le riflessioni sulla Pasqua dello scrittore Erri De Luca (leggi qui) che ho scoperto grazie ad un twitt di Boker or. Condivido (senza altri commenti) i passaggi che più mi hanno colpito.

«Quest’anno in quella terra di origine della storia sacra [la terra di Israele], come da noi, si celebra la festa di Pèsah, Pasqua, in condizioni di stretta clausura domiciliare. L’epidemia di febbri polmonari ha trasformato il racconto di una liberazione in quello di un isolamento.

Ma non per questo c’è smentita né contraddizione.

Anche nel condiviso divieto di spostarsi, si sta compiendo un viaggio. Si sta dentro un avvento, si va in un tempo nuovo.

Non sarà possibile dimenticare che la vita umana ha preso il sopravvento e la precedenza su qualunque legge del profitto e dell’economia. Non sarà possibile dimenticare il tempo incalzante in cui l’autorità e il potere spettano ai medici e non ai consigli di amministrazione.

Si sta dentro le nostre capsule nell’isolamento del deserto, al termine del quale affronteremo un bivio: tornare alla sicura servitù di prima, alla sottomissione generale al Faraone dell’economia.

Oppure inoltrarsi nella terra di una nuova libertà da sperimentare, una nuova alleanza tra la specie umana e l’ambiente che le permette vita».

“Non è qui, è risorto!”

Raccontaci Maria, cosa hai visto sulla via?”
“Il sepolcro del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, gli Angeli suoi testimoni, il sudario e le sue bende. È risorto Cristo, mia speranza; e vi precederà in Galilea“.

Pasqua2020_1

Aspetto ogni anno questo annuncio di gioia che la Chiesa proclama nel giorno di Pasqua. Lo aspetto come segno e prova di un’esperienza personale: ogni prova, malattia o sconfitta porta con sé anche il seme di una crescita positiva.

Quest’anno, nel quale ogni giorno ci ripetiamo che “Andrà tutto bene”, per rafforzare questa mia certezza ho ricevuto in dono diversi segni.

Negli scorsi giorni, su Twitter, ho trovato queste parole di Vaclav Havel: “La speranza non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato.
Che abbia successo o meno“.

Ieri sera, da Roma, Papa Francesco ha dato alla speranza un nuovo significato: “Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza. È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza, con un sorriso di passaggio. No. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soliTutto andrà bene, diciamo con tenacia in queste settimane, aggrappandoci alla bellezza della nostra umanità e facendo salire dal cuore parole di incoraggiamento. Ma, con l’andare dei giorni e il crescere dei timori, anche la speranza più audace può evaporare. La speranza di Gesù è diversa. Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita”.

Con questa certezza auguro a voi e alle vostre famiglie: Buona Pasqua #distantimavicini

Le intuizioni di “Alba senza giorno”

Ho deciso di risvegliare questo blog per tenere traccia – e condividere – alcuni pensieri che mi passano per la mente in queste settimane.
Fortunatamente non vivo rinchiuso in casa e posso lavorare. Però mi mancano gli abbracci delle nipotine, le lezioni di canto con Sara Orlacchio, le prove del Cantiamo Sottovoce, le lezioni e le prove di teatro.

In questa ultima settimana ho ripreso a leggere.
La copertina del romanzo Alba senza giorno di Fernando CoratelliIl primo libro della lista era “Alba senza giorno“, un romanzo dell’amico Fernando Coratelli. Tre storie distinte che partono da punti lontani, si incrociano nello studio di un notaio o sulla metro di Milano per incontrarsi, in un giorno di maggio, alla stazione Romolo.
Il racconto di Fernando si chiude con un evento al quale assistono molte persone. Qualcuno si avvicina. Altri si allontanano. “Tutti hanno visto qualcosa, ognuno ha capito qualcos’altro“.

Il titolo e la conclusione mi hanno fatto pensare a questi giorni.
A volte al mattino mi sveglio mi chiedo: sarà una giornata utile, oppure sarà un’alba senza giorno? Altre volte ho l’impressione che quando volgeremo lo sguardo a questa esperienza per cercare di imparare qualcosa di utile per migliorare il mondo e la società che consegneremo ai nostri figli o nipoti ci accorgeremo che ognuno di noi ha vissuto qualcosa di diverso e non riusciremo a ritrovare l’unità necessaria per costruire insieme.

Ma non solo titolo e conclusione sono di estrema attualità in questi giorni.
Nelle ultime pagine di “Alba senza giorno” (pubblicato a ottobre dello scorso anno) ci sono alcune frasi che sembrano anticipare i giorni che stiamo vivendo.
Lei allora gli sorride.
“Andrà tutto bene, gli dice.
Andrà tutto bene, sì, ripete lui“.

Qualche pagina dopo leggo:
Lei ringrazia, infila la ricetta in borsa e porge la mano alla donna che rimane immobile.
Lo sa che é meglio evitare?, la dottoressa resta impassibile al di là della scrivania. È il peggior veicolo di trasmissione batterica, se dovessi stringere le mani a tutti dovrei lavarmele di continui”.

Complimenti a Fernando per il suo romanzo. Buona lettura.